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Fine e…. inizio

Cari amici,

siamo  giunti finalmente alla conclusione di questa nostra bella avventura tra scienza ed esplorazione nella Penisola Antartica. I nostri sono rientrati negli Stati Uniti mentre Roberto si sta prendendo un meritato periodo di vacanza in Patagonia. Ora comincia il lavoro prettamente scientifico. Beh, “ora” si fa per dire perché le carote di ghiaccio sono ancora a Rhotera in Antartide e fra un po’ verranno imbarcate su una nave che le porterà negli Stati Uniti. Arriveranno in laboratorio verso la fine di giugno ed in breve cominceranno le analisi chimiche che dureranno….. almeno 2 anni! No ragazzi, non é come su CSI dove basta fare la scansione di un campione ed i risultati appaiono subito su un grafico luminoso….. Qui bisogna tagliare il ghiaccio campione per campione, decontaminarlo pazientemente, ed analizzarlo con strumenti non proprio…. automatici. L’abilità dell’operatore conta e conterà ancora moltissimo. Insomma la prima qualità di un ricercatore é la pazienza e….. ahimé così anche di chi attende con ansia i risultati…..

La piattaforma di ghiaccio Larsen B durante la frantumazione nel 2003 e a sinistra i ghiacciai che l’alimentavano e che subito dopo il collasso hanno cominciato ad accelerare verso il mare
La piattaforma di ghiaccio Larsen B durante la frantumazione nel 2003 e a sinistra i ghiacciai che l’alimentavano e che subito dopo il collasso hanno cominciato ad accelerare verso il mare

Ma torniamo per un attimo nella Penisola Antartica. C’é grande attesa per i nostri risultati perché tutti vogliono sapere se nel passato ci sono state condizioni climatiche simili a quelle attuali (fortissimo riscaldamento in questa zona) che possono essere collegate ad eventuali precedenti frantumazioni della piattaforma Larsen B. Ma perché la comprensione di questo evento é così importante per tutto il pianeta? In fondo si tratta di una lastra di ghiaccio. Ok sarà anche grande come una provincia italiana, ma che importanza può avere se confrontata a tutto il pianeta ???? C’é un problema…. e riguarda l’innalzamento dei mari. Ma il problema non é la Larsen. Questa “lastra di ghiaccio” infatti galleggiava sul mare anche prima di frantumarsi e, come un cubetto che si sta sciogliendo in un bicchiere non alza il livello della bevanda, così la frantumazione della Larsen non ha provocato nessun innalzamento del livello dei mari. Il problema é che la Larsen, quando era ancorata alla terraferma, era rifornita di ghiaccio da diversi ghiacciai che fluivano dall’entroterra della Penisola Antartica. In qualche modo la Larsen faceva come da “diga” a questi fiumi di ghiaccio. E una volta che la Larsen si é frantumata é successo esattamente quello che pensate…..I ghiacciai che l’alimentavano, una volta liberi da ogni resistenza a valle, hanno cominciato a scorrere più velocemente verso il mare. E quindi a portarvi una quantità di ghiaccio maggiore. E questo ghiaccio certamente contribuisce ad alzare il livello dei mari perché prima se ne stava buono buono appoggiato sulla terraferma.

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Prima di tornare…..

Finita la perforazione Roberto, Ellen e gli altri sono rientrati a Rhotera e si stanno preparando per tornare in Sud America. Ecco l’ultima cronaca di questa avventura tra scienza ed esplorazione attraverso il racconto di Roberto:

Ecco cosa é rimasto del campo beta: una stazione meteorologica, sentinella del clima che verrà
Ecco cosa é rimasto del campo beta

Eccomi qua….. un po’ stanchino. Al campo beta é stata una corsa finale veramente impegnativa: un giorno intero di lavoro ininterrotto, senza pause per mangiare (eccetto qualche cioccolata). Dopo la partenza di Victor ed Ellen ci siamo trovati a preparare tutto in pochi, e, come se non bastasse, ad aiutare Ted Scambos con l’allestimento della sua stazione meteorologica. Però il nostro pilota, Ricky, ha insistito perché tutti tornassero alla base entro la sera, in quanto una giornata di bel tempo come quella non capita certo tutti i giorni. E cosi alle 23 ho fatto rientro a Rhotera insieme a Thai, praticamente sfinito… Sembra banale ma come potete immaginare non é stato facile organizzare “l’evacuazione del campo”, in quanto bisogna avere sempre una riserva di emergenza (tende e cibo, gas e attrezzatura di emergenza). Alla fine eravamo rimasti con poco cibo, diciamo per soli 7 giorni, e una sola tenda per un ‘eventuale prolungata permanenza (infatti il tempo si stava chiudendo, e tra un volo e l’altro dalla base passano 2-3 ore). In totale ci sono stati 6 voli grazie a due aerei messi a disposizione (uno canadese e uno inglese).

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Grandi!

Alla fine ce l’hanno fatta, i nostri dopo più di 40 giorni passati su un ghiacciaio remoto della Penisola Antartica, hanno finalmente estratto l’ultima carota di ghiaccio e raggiunto la base rocciosa. Dalle parole di Roberto si sente tutta la soddisfazione per l’obiettivo raggiunto ma anche la fatica accumulata, probabilmente non solo fisica ma anche mentale. Molte volte in spedizioni alpinistiche o avventurose in luoghi remoti come questo, il gruppo é formato da buoni amici o addirittura parenti. Questo é invece un gruppo innanzitutto di colleghi, affiancati l’uno all’altro dalle proprie competenze professionali. Per quanto vi stiano simpatici i vostri colleghi, ci passereste 40 giorni insieme in uno spazio piccolo come la cabina di un’astronave? É quello che Roberto, Ellen, Victor, Thai, Felix e Vladimir hanno fatto. Complimenti a tutti per tutto dunque! Ecco l’ultimo racconto di Roberto dal campo beta, nella Penisola Antartica:

Il gruppo di perforazione dopo 40 giorni passati sul ghiaccio: da sinistra Roberto, Victor, Vladimir, Felix ed Ellen.
Il gruppo di perforazione dopo 40 giorni passati sul ghiaccio: da sinistra Roberto, Victor, Vladimir, Felix ed Ellen.

Vi annuncio che abbiamo terminato la perforazione a circa 445 m di profondità, dunque circa 20 m più in basso di quanto ci aspettavamo  dalle stime fatte con il radar. Anche il primo carotiere che era rimasto intrappolato é stato recuperato con un ingegnoso sistema di Victor! Ora abbiamo terminato praticamente tutti i lavori che ci eravamo prefissati e pensiamo solo a partire alla volta della base inglese di Rohtera. Potete immaginarvi la voglia di dormire in un letto vero e mangiare al calduccio…dopo circa 40 giorni di permanenza sul ghiaccio.


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Per un pelo….

Eh, si cari amici questa volta abbiamo veramente sudato freddo perché stava per capitare un’altra volta. Il carotiere termico, quello che recupera la carota fondendo il ghiaccio (invece che tagliarlo), si era bloccato a oltre 300 metri di profondità e questo era l’ultimo carotiere a disposizione. Tutto per fortuna poi si é risolto e lo potete leggere dalla soddisfazione negli occhi di Roberto e Felix. Ma sentiamo direttamente dal campo remoto Beta come é andata attraverso questo nuovo racconto di Roberto:

Felix e Roberto visibilmente soddisfatti per aver appena recuperato il carotiere termico
Felix e Roberto visibilmente soddisfatti per aver appena recuperato il carotiere termico

Scusate il ritardo nello scrivervi, ma abbiamo avuto parecchio lavoro e tensione negli ultimi 4 giorni. In sostanza è successo che il carotiere termico si è bloccato a circa 380 m di profondità. La causa è stato un corto circuito, il quale ha avuto come conseguenza il raffreddamento della testa del carotiere e il suo immediato congelamento. Il problema è stato dunque cercare di estrarlo, evitando di danneggiarlo in modo da poter proseguire la perforazione ormai così vicina allo strato roccioso (dovrebbero mancare solo una cinquantina di metri!). Victor e Vladimir, i nostri perforatori russi, hanno inventato e sperimentato diverse possibili metodi per salvare il carotiere, quali ad esempio cercare di raggiungere con dell’anticongelante il carotiere per sciogliere il ghiaccio che lo intrappola in profondità. Non è un’operazione banale come potrebbe sembrare, perché a quasi 400 metri di profondità, la temperatura di circa -15 C e la presenza del cavo lungo tutta la lunghezza del foro, creano grossi problemi.

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Sempre più in basso!

In Antartide funziona tutto al contrario: più vai giù (nel ghiaccio) e più ti tiri su (di morale). Ma ora il carotiere è rimasto bloccato a 150 m di profondità. Roberto, Ellen, Felix, Victor, Vladimir e Thai non si danno per vinti: il momento è topico.

Ellen, il capospedizione ci scrive: “Siamo molto ottimisti: sono convinta che recupereremo il carotiere a 150 m di profondità. In ogni caso non tenteremo di estrarlo fino a quando non avremo completato il secondo foro con il carotiere di riserva con cui ora stiamo lavorando”.

Nonostante le difficoltà tecniche col carotaggio Roberto, Felix e Vladimir (da sinistra a destra) rimangono di buon umore: eccoli in un momento di pausa nella tenda cucina.

Ed ecco l’aggiornamento di Roberto. “Dopo una settimana di brutto tempo costante, con vento e neve (ma per fortuna con temperature mai al di sotto di -15 C) finalmente sono tre giorni che riusciamo a guardarci intorno. La penisola in questo punto è molto sottile ed è possibile intravedere ad est, in lontananza, la piattaforma Larsen C, mentre ad ovest si vedono le montagne e i ghiacciai che scendono fino all’oceano. Sono panorami di una bellezza incredibile ed uno non smetterebbe mai di guardarsi attorno.

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Ci siamo persi il carotiere….

Pronti via! Arrivati sul sito di perforazione i nostri hanno assemblato il carotiere per cominciare la perforazione nel ghiaccio. Ma cos’è un carotiere? Beh, non è altro che una specie di tubo rotante di circa 3 m con alla base dei coltelli ed in cima un motore che lo fa girare. È una macchina in realtà molto più complessa di quanto detto… ma giusto per dare un’idea, ok?

Questo “tubo rotante” viene calato ogni volta nel foro tramite un cavo che fa da sostegno meccanico ma fornisce anche l’energia elettrica necessaria per far girare il motore. Ogni volta che il carotiere va giù, perfora circa 1 metro di ghiaccio e poi, riempito il tubo con la carota ghiaccio, lo si tira su in superficie e si recupera la carota. Ma sentiamo cosa ci racconta Roberto dall’Antartide:

L’interno del duomo dove avviene la perforazione con la torre che sostiene il carotiere.
L’interno del duomo dove avviene la perforazione con la torre che sostiene il carotiere.

“L’operazione di carotaggio era iniziata nel migliore dei modi ed in 3 giorni eravamo infatti riusciti a raggiungere 140 metri di profondità, ottenendo carote di ghiaccio di ottima qualità…..

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Qui Campo Remoto Beta, ci sentite?

Benvenuti in Antartide! Quella vera….. Roberto, Ellen e gli altri, lasciata la base Antartica di Rothera sono finalmente arrivati al campo remoto BETA e ci hanno inviato via satellite il primo messaggio e le prime foto. L’itinerario per arrivare qui è stato lungo ma finalmente ora possono cominciare a lavorare per estrarre questa “macchina del tempo” lunga 400 m, la carota di ghiaccio che ci svelerà l’andamento del clima del passato in questa regione dove nel 2002 si è frantumata la piattaforma di ghiaccio Larsen B. Ma sentiamo direttamente il racconto di Roberto:

Foto aeree del campo remoto BETA nella Penisola Antartica dove Roberto del Museo Tridentino di Scienze Naturali ed Ellen del Byrd Polar Research Center stanno per iniziare una perforazione di 400 m nel ghiaccio.
Foto aeree del campo remoto BETA nella Penisola Antartica dove Roberto del Museo Tridentino di Scienze Naturali ed Ellen del Byrd Polar Research Center stanno per iniziare una perforazione di 400 m nel ghiaccio (Cortesia di Mike Clark).

Cari amici, vi scrivo dal Campo Remoto BETA. Approfittando di una parentesi di bel tempo, siamo partiti improvvisamente alle 18 di qualche giorno fa e siamo stati proiettati su questo sito disperso nella Penisola Antartica.

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Arrivederci Rothera

L’occasione è arrivata: i nostri hanno lasciato Rothera ed ora sono nel campo remoto. Potete trovare qui un riassunto grafico del viaggio che li ha portati da Columbus in Ohio fino al campo remoto nella penisola Antartica. Aspettiamo ora di ricevere le prime notizie via satellite dal campo. Prima di partire Roberto ci ha inviato un messaggio dalla base di Rhotera:

La base inglese viene tenuta in funzione tutto l’anno (ci sono una ventina di persone durante l’inverno australe e circa 100 adesso che è estate) e funge da punto di partenza per numerose spedizioni scientifiche in differenti ambiti (geologia, biologia, glaciologia, meterologia). Essa stessa ospita numerose attrezzature per il monitoraggio del tempo meteorologico, la fauna e la flora.


Il braccio di mare e le montagne a ridosso della base di Rothera
Il braccio di mare e le montagne a ridosso della base di Rothera

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Carote di ghiaccio… cosa?

I nostri sono arrivati nella base inglese di Rothera nella Penisola Antartica, di cui potete vedere una panoramica in diretta da questa webcam . Da quello che ci fa sapere Roberto sembra che, per ora, non se la passino troppo male…..

La base inglese di Rothera nella Penisola Antartica
La base inglese di Rothera nella Penisola Antartica

“Rothera è un’isola situata in un posto bellissimo. Ci sono pinguini, foche e perfino balene che passano ogni tanto! L’ospitalità inglese è sorprendente. Siamo in attesa di un momento di bel tempo per trasportare con un Twin Otter il nostro materiale fino a dove installeremo il nostro campo. Le condizioni meteo sono veramente un problema, in quanto in continua evoluzione. Ieri i piloti hanno fatto un volo di ricognizione, ma oltre ad esserci poca visibilità sono atterrati a 12 km (dico dodici!) di distanza dal nostro campo; qui si è perfino rotto uno degli sci dell’aereo. Hanno impiegato ore per ripararlo, in mezzo ad una tempesta. Ora scappo a preparare i contenitori per le carote di ghiaccio!”

Carote di ghiaccio??? e poi perché tanta fretta???  Sembra che i preparativi stiano fervendo…. calma, ricapitoliamo: i nostri stanno per partire da Rothera per installare un campo remoto su un ghiacciaio, posto una decina di chilometri a monte di dove stava la piattaforma Larsen B , prima di frantumarsi nel 2002 (vedete post precedente). Qui sperano di compiere una perforazione di 400 m nel ghiaccio per estrarre una carota di ghiaccio che sveli come il clima del passato ha influenzato la Larsen B.

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Partiti!

Roberto ed Ellen sono partiti per l’Antartide! Appena prima della partenza Roberto ha risposto ad alcune domande.

Roberto come si svolgerà il tuo viaggio per andare in Antartide?

Partiremo da Columbus Ohio (speriamo di non trovare una delle tempeste di neve del Midwest USA, tipiche di questa stagione!) alla volta di Santiago del Cile, da dove, con un altro volo, arriveremo a Punta Arenas, la città “porta” della Patagonia cilena. Una volta a Punta Arenas, ci muoveremo verso la base inglese di Rothera, nella Penisola Antartica, dove saremo ospitati per qualche giorno in attesa di muovere finalmente verso il luogo dove lavoreremo nei prossimi mesi.

Ci descrivi i tuoi compagni di avventura?

Il gruppo con cui lavorerò è veramente eterogeneo e internazionale: due russi Victor e Vladimir (sono due ricercatori estremamente esperti di carotaggio nel ghiaccio in luoghi estremi), un peruviano Felix (guida alpina), due americani Ellen, (professoressa di climatologia) e Thai direttamente dall’Alaska (il nostro camp manager). Infine ci sono io, italiano.

I nostri in partenza dal Byrd Polar Research Center: da destra Roberto, Ellen, Vladimir e Victor. Incontreranno gli altri due compagni di viaggio Felix e Thao in Cile.
I nostri in partenza dal Byrd Polar Research Center: da destra Roberto, Ellen, Vladimir e Victor. Incontreranno gli altri due compagni di viaggio Felix e Thai in Cile.

Cosa andrete a fare esattamente in Antartide?

Il nostro lavoro consisterà nell’estrarre una carota di ghiaccio di almeno 400 m, sperando di raggiungere il cosiddetto bedrock, ovvero il substrato roccioso (l’Antartide, al di sotto del ghiaccio, nasconde un’immensa varietà di rocce). Le successive analisi chimiche del ghiaccio che faremo nei laboratori dell’Università, serviranno per ricostruire l’evoluzione climatica della Penisola Antartica nei secoli e nei millenni, e per capire le relazioni che intercorrono tra i cambiamenti di temperatura ed il “collasso” della piattaforma di ghiaccio Larsen B avvenuto nel 2002.

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